LA MADONNA CON BAMBINO DI GIBILMANNA (Pa): I GAGINI, GRANDI SCULTORI DEL RINASCIMENTO IN SICILIA di Natalia di Bartolo

Un tesoro di ANTONELLO GAGINI (1478-1536)

Gibilmanna (PA), Convento dei frati Cappuccini; sei frati in tutto; Complesso monumentale, piccolo Museo di tradizioni popolari e, nella Cappella del Convento, un magnifico altare barocco, con al centro una “perla” in alabastro: una Madonna con Bambino del Gagini.

Essa emana un tale fascino da restarvi davanti a bocca aperta. La guida da cui chi scrive fu condotta a quella meraviglia non specificò il nome di battesimo dell’autore, ma dallo stile e dalla somiglianza con altre Madonne del genere, essa può essere attribuita alla Scuola di Antonello Gagini o, addirittura, ad Antonello stesso.

Durante il Medioevo e per tutto il Rinascimento le Arti furono un patrimonio di Famiglia. Gli artisti crescevano (spesso vi nascevano) in una “bottega”, che, con il proprio stile, i segreti del mestiere, la cultura, passava di padre in figlio anche per molte generazioni. Ecco perché molti componenti della stessa Famiglia vengono ancora oggi accomunati da un cognome o da un nome di battesimo (spesso preceduto da un “di”), che è quello dell’artista fondatore della bottega: per esempio gli Antoni (che culmineranno in Antonello, detto “da Messina”) e gli eredi di Bartolo, pittori e scultori (che avranno, fra gli altri, Nanni, detto “il Rosso”, allievo di Donatello e Giovanni, scultore per i papi ad Avignone, autore del busto reliquiario di S. Agata a Catania, capostipite del ramo siciliano della Famiglia).

E’ il caso anche dei Gagini, scultori ed architetti originari di Bissone sul lago di Lugano. Domenico (+ 1492), figlio di Pietro, è il capostipite del ramo della famiglia trasferitosi in Sicilia. Scultore raffinato, iniziò a portare nell’isola influssi rinascimentali. Con il fonte battesimale di Salemi, l’Arca di San Gandolfo a Polizzi Generosa, la Madonna nella chiesa di Santa Maria dei Franchi a San Mauro Castelverde, una Madonna con Bambino nell’Arcivescovado di Siracusa, ricordiamo in lui uno scultore di notevole spessore tecnico ed artistico.

Dalla seconda moglie, Caterina, ebbe, nel 1478, il figlio Antonello. Il giovane si dimostrò subito versato nell’arte scultorea e presto conquistò ampia fama.

Giovanissimo si recò a Carrara, per contrattare alcune partite di marmo: fu l’occasione per venire a contatto con Firenze e con l’Arte che ivi ferveva. Più che allievo di Michelangelo (che non ebbe mai bottega, nè allievi), come favoleggiano alcuni scrittori, è da considerarsi un ottimo “osservatore” delle coeve pitture fiorentine; di Raffaello soprattutto, dal quale cercò di trarre insegnamento per l’iconografia, la postura, le sembianze delle sue celebri Madonne.

Lavorò a Messina dal 1498 al 1507, realizzando, fra l’altro, la Madonna di Bordonaro (ME), e la Madonna con Bambino, posta nella chiesa di Santa Maria di Gesù a Catania.

Nel 1508 gli venne commissionato un lavoro grandioso, che l’avrebbe impegnato per molti anni: la decorazione dell’abside maggiore della Cattedrale di Palermo.

Secondo lo storico Fazello, la decorazione consisteva in 42 statue a grandezza naturale, in marmo di Toscana: il Cristo, la Vergine Maria, i dodici apostoli e una trentina di santi. La decorazione, di tale mole e complessità, lo consacrò come il più grande scultore siciliano dell’epoca.

Fu così che la sua bottega fu sommersa di commissioni. Sono stati ritrovati molti contratti per Madonne, Santi, capitelli, colonne, portali, acquasantiere, tabernacoli. Dalla suddetta bottega, quindi, uscì una quantità immensa di sculture, oltre duecento, si dice, che non possono, ovviamente, essere tutte attribuite esclusivamente alla mano di Antonello.

Per giustificarne la mole numerica, si arrivò a ritenere che l’artista fosse vissuto oltre i novant’anni. In realtà, morì a cinquantotto anni, nel 1536, circondato da un alone di ammirazione e di fama che ancora oggi lo rende uno dei più celebrati scultori del Rinascimento italiano.

La sua bottega restò attiva, in mano ai cinque figli maschi ed a numerosi allievi, che tennero alta, per un certo periodo di tempo, la fama del Maestro, ma che, pian piano, andarono scadendo in qualità e disperdendosi, mettendo fine, purtroppo, ad una tradizione scultorea siciliana di grande spessore artistico.

Per tornare alla nostra Madonna di Gibilmanna, non si può che ritenere che i volti di madre e figlio possano davvero essere di mano di Antonello in persona.Tale è la soavità dell’espressione, la trasparenza dell’incarnato (favorita dall’alabastro: la scaltrezza degli Artisti non ha limiti!), la postura delle due teste. Anche le mani della Madonna sono di finissima fattura e pare lecito pensare che Antonello abbia lavorato anche a quelle.

E’ immediatamente evidente come “contorno” barocco e statua non siano coevi: che la statua sia più antica e di assai più raffinata fattura è lampante.

Essa fu collocata in quel contesto quando, nell”800, i frati Cappuccini, nella persona di un loro influente benefattore, riuscirono ad ottenere il possesso di quell’altare barocco, uno di quei quattro simili, quasi uguali, eseguiti alla fine del XVII sec. per la Cattedrale di Palermo e mai (non si sa il perché) “montati” in quel luogo.

Essi, inutilizzati, giacevano in un magazzino, smontati. Preso possesso di uno di questi, i Cappuccini lo collocarono lateralmente nella loro Cappella e vi inserirono magnificamente, come ancora oggi la vediamo, la statua del Gagini.

Gli altri tre altari? Non ci è stato detto, ma sicuramente saranno, sparsi, montati in altre chiese siciliane…si spera.

Natalia di Bartolo