LIZZIE SIDDAL: come la shakespeariana OPHELIA le donò l’Eternità di Natalia Di Bartolo

La figura shakespeariana dell’infelice, giovane Ophelia, innamorata di Hamlet e morta folle e, probabilmente, suicida, ha sempre suscitato nell’immaginario collettivo la figura pallida e fragile di fanciulla che ci è stata tramandata non solo dalle sue personificazioni teatrali, ma anche dalle Arti Visive, nonché dal Cinema, quando anch’esso diventa Arte.

Tutti conoscono la triste vicenda dell’Ophelia dall’”Hamlet”, ma forse pochi sanno che una “vera” Ophelia abbia ispirato il Pittore John Everett Millais (1829-1886), fondatore ed esponente della Corrente dei Preraffaelliti. Egli la “riconobbe” in Elizabeth (Lizzie) Eleanor Siddal (1829-1862), giovane moglie del collega Dante Gabriel Rossetti (1828-1882) e ne rimase folgorato.

Pallida beltà, con un atteggiamento tra il dignitoso e il dolce, al suo apparire, scrisse Willam Rossetti, teorico del Movimento e fratello di Gabriel, sembrava dire: “I miei pensieri ed i miei sentimenti sono solo miei ed a nessuno è concesso entrarvi”: quasi la pudicizia della vera Ophelia. Era ella stessa un’artista: scriveva poesie; e posava da modella per il marito e per diversi altri pittori.

La fanciulla della tragedia di Shakespeare impazzisce per essere stata illusa ed abbandonata da Hamlet. Nella sua demenza, a sprazzi tragicamente lucida, Ophelia, dopo aver colto dei fiori nei pressi di un ruscello, si arrampica su un salice, i cui rami pendono sulle acque. Per adornarli con i fiori raccolti, perde l’equilibrio e cade nel rivo, narra la regina madre, ma, in realtà, velatamente, si comprende che vi si sia gettata volontariamente.
Riportata di nuovo in superficie dalle acque, ormai senza vita, ornata dai fiori che erano caduti con lei, ella viene pietosamente raccolta e portata alla sepoltura.

Così l’immenso Shakespeare ne narra in versi la tragica fine, per bocca della regina Gertrud:

«In quel ruscello dove un salice sghembo
specchia le sue brinate foglie nella corrente vitrea;
là ella intrecciava fantastiche ghirlande
di ranuncoli, d’ortiche, di margherite,
e di quelle lunghe orchidee purpuree
alle quali i franchi pastori dànno un nome più volgare,
ma che le nostre fredde vergini chiamano dita di morte;
e lassù, mentre s’arrampicava per appendere
i suoi diademi d’erba alle pendule fronde dell’albero,
un invidioso ramo si ruppe, e quei trofei
ed ella stessa caddero nel ruscello. Le sue vesti
si gonfiarono intorno e la sostennero
per qualche tempo come una sirena,
mentre ella intonava spunti di vecchie canzoni,
quasi fosse inconscia della propria sventura,
o come una figlia dell’acqua, familiare
a quell’elemento. Ma per poco, poiché le sue vesti,
pesanti per l’acqua assorbita, trascinarono l’infelice
dal suo melodioso canto a una fangosa morte».

(Hamlet, IV, VII)

La dolcezza di Ophelia e la sua follia d’amore, come prima s’accennava, hanno ispirato molti pittori e musicisti, ma forse colui che ne ne ha colto veramente lo “spirito” è stato proprio John Everett Millais. Il pittore, conosciuta Lizzie Siddal ed abbagliato dalla singolare “somiglianza” con Ophelia, la convinse a posare per lui proprio nelle vesti del personaggio shakespeariano.

Per ritrarla in quel dipinto, la fece restare in posa per ore ed ore, immersa in una vasca piena d’acqua assolutamente fredda, poiché inutilmente circondata da alcune lampade che non riuscivano a scaldarla. Disegnò la straordinaria modella, la fotografò; la dipinse, infine, in un quadro che fu il suo Capolavoro.

Quell’Opera pittorica trasuda un fascino strano, perfino attraverso le riproduzioni, ed è decisamente sublime; sembra infatti veramente non esistere, nella Storia delle Arti figurative, un’Ophelia che corrisponda così profondamente e misteriosamente al testo shakespeariano.

Il dipinto la raffigura mentre il suo corpo, circondato dai fiori e dalle erbe palustri, galleggia e ne affiorano la  bella testa e le mani, con i palmi rivolti verso l’alto, quasi in atto di preghiera. Inconcepibile che qualche studioso vi abbia colto simboli lascivi! Il suo viso è roseo, le sue labbra socchiuse sono colorite, ma ha un’espressione stupita, come se vedesse ciò che mai aveva immaginato di vedere e ne rimanesse attònita e con un atteggiamento simile a chi voglia dire: “E’ possibile che tutto sia finito così?”.

Fra gli Storici dell’Arte c’è chi sostiene che la fanciulla sia ritratta ancora viva, nel momento del breve galleggiare con le vesti rigonfie d’aria prima di affondare nel rivo melmoso; ma potrebbe essere già morta e riaffiorare sulla superficie dell’acqua. Lo stupore vago che le pervade il volto, comunque, non è più di questo mondo.

E’ impressionante come l’immedesimazione in una persona moribonda o già morta, evidentemente,  si confacesse a Lizzie: nei disegni preparatori al dipinto, di grande finezza grafica, Millais ritrae così fedelmente quel volto dall’espressione così languida e, nello stesso tempo, così disperata e trascendente, che qualche intenditore arriva a preferire lo schizzo al dipinto compiuto.

Il capolavoro pittorico del grande artista, secondo i suoi parametri ed intendimenti artistici, è di estrema puntigliosità ricostruttiva, anche dal punto di vista naturalistico, arrivando egli ad usare piante vere da ritrarre per inserirle nel quadro. E di bella vegetazione, anche fiorita, l’Opera è piena, ma non dà la sensazione di freschezza di un ruscello che nutra con la propria acqua le piante intorno e dentro di esso: quella specie di “nido” arruffato, fatto di piante e fiori sull’acqua e nell’acqua, è una tomba.

La perfezione naturalistica, però, è davvero impeccabile: si distingue chiaramente perfino un filo di tenere violette che circonda il bel collo della fanciulla: simbolo della caducità della vita e dell’amore. Inevitabilmente, il pensiero vola ad altre violette, quelle su cui Amina, la delicata Sonnambula di Vincenzo Bellini, piange, vagando inconsapevole nel sonno, l’amore che non sa esserle stato sottratto con l’inganno. “Ah, non credea mirarti sì presto estinto, o fiore!”: un fiore reciso egli stesso, il Cigno Catanese, morto in odore d’inganno fatale. Inganno, come la pazzia di Hamlet verso Ophelia: “Va’ in Convento!”; fiore, come la giovane Lizzie e come Ophelia stessa, appena sbocciate alla vita;  inganno, come i tradimenti di Dante Gabriel Rossetti nei confronti della moglie…Tanti fiori e tanto inganno, nel quadro del Millais, galleggiano sull’acqua con Ophelia, morta cantando, che occorrerebbe ancora la penna di un poeta.

La giovane Lizzie tradita, intanto, narra la Storia, viveva un’esistenza infelice: non a caso soffriva di anoressia e faceva abuso di laudano. La sua salute era cagionevole. Le pose per il Millais e per altri pittori, al freddo, diversi aborti, una vena di follia, ma soprattutto i ripetuti tradimenti del marito, la portarono ad uno stato di alterazione psicologica tale da spingerla, assumendo una dose massiccia di laudano, a togliersi la vita.

La tragedia sconvolse il Rossetti, suscitandogli inenarrabili rimorsi. Lizzie fu sepolta con la testa adagiata sul cuscino delle sue lunghe trecce bionde e, fra le mani, il marito le pose un proprio poema d’amore inedito, scritto appositamente per lei. La sua vita si era consumata e spenta come quella di Ophelia: giovane, folle e suicida. Le corrispondenze fra i casi occorsi alle due donne fanno rabbrividire.

Quando l’editore di Rossetti decise di pubblicare il poema sepolto per rinvigorire la fama offuscata dell’autore, lo convinse a riesumare il cadavere di Lizzie. Riaperta la bara, dopo sette anni, la bellezza della giovane era ancora intatta, nei propri pallidi colori, ed i capelli le erano cresciuti a dismisura, circondandola e riempiendo i vuoti della cassa. Ci troviamo di fronte, quasi, ad una storia “gotica” che, diversamente dalla tragedia shakespeariana e dal dipinto, è reale, e, quindi, a maggior ragione, risulta essere di straordinario, intenso impatto emotivo.

Lizze Siddal, allora, grazie al magistrale pennello del Millais, affiora dall’acqua e dal passato, così come Ophelia, grazie alla geniale penna di Shakespeare, affiora dall’acqua e dalla leggenda. L’Ophelia nel grande Teatro, quindi, elargisce all’Ophelia-Lizzie Siddal nella Pittura il dono inestimabile dell’Eternità. Basta accorgersi di lei…