UNA TRADIZIONE CHE MUORE: La mensa di S.Giuseppe di Tommaso Aiello

La festa di S.Giuseppe che si celebra il 19 marzo apre il ciclo delle feste patronali che si prolungano in moltissimi comuni della Sicilia fino alla tarda estate.

Essendo San Giuseppe il Santo protettore dei poveri,degli orfani e di chi si trova in grandi ristrettezze di vita,la festa di questo Santo rappresenta il trionfo della carità,lo spirito della beneficenza,non disgiunto forse da una certa vanità da parte di chi per voto prepara la mensa per i poverelli.

San Giuseppe è venerato come patrono in molti comuni della Sicilia e in moltissimi altri ha una sua festa particolare.

In questi ultimi anni però,quella pomposità esteriore che caratterizzava la festa e che informava e dominava tutta la gente e tutte le classi sociali,in special modo quella operaia e quella contadina,è venuta scemando.

Le mense imbandite per i poveri e gli orfanelli,che nel tempo andato erano molto comuni in ogni quartiere e in ogni strada,oggi diventano sempre più un fatto rarissimo.

Tuttavia, grazie a una famigliola di umili condizioni,che da alcuni anni aveva in mente di esaudire un voto(una causa vinta dopo circa 20 anni)preparando una mensa di San Giuseppe,ma di quelle all’antica”cu tutti li pitanzi di lu munnu”(da intendersi relativamente alla loro cultura,alle loro conoscenze,al loro mondo insomma)ci ha permesso di poter rivivere da vicino quell’atmosfera dei tempi ormai andati per sempre.

Vediamone più da vicino i febbrili preparativi.

Già alcuni giorni prima del 19 si inizia a preparare la stanza dove saranno imbandite le pietanze:sulla parete di fondo viene applicato un bianchissimo lenzuolo ricamato,poi con delle assi di legno ricoperte da tovaglie viene preparato una specie di altare a gradini dove vengono collocate secondo un ordine ben preciso e simmetrico le varie forme di pane,un vero capolavoro dell’artigianato locale.Le altre due pareti vengono pure addobbate con lenzuoli colori rosa e celeste ricamati a mano e proprio lungo queste due pareti viene imbandita la mensa che comprende le più svariate pietanze che si facevano venire da paesi anche lontani(allora in vendita c’erano solo i prodotti stagionali).

Preminente su tutto però è sempre il pane.

La mensa finalmente è pronta e la festa può procedere.

Questo pane rapprenta il Sacramento.

Ma torniamo alla sera del 18 e procediamo con ordine.

Al tramonto è ancora possibile vedere in larghi spiazzi preparare la luminaria(una catasta di legna che brucia e produce alte fiamme),la gente del quartiere porta tutto quanto è buono da ardere:legna,canne,sedie rotte e parti di vecchi mobili.

Quando tutto è pronto finalmente si dà fuoco e al levarsi delle fiamme si grida:Evviva San Giuseppe,mentre i ragazzi ballano e schiamazzano. Effettivamente nei tempi passati c’era una partecipazione più corale e sentita,oggi la luminaria ha perso gran parte della sua funzione simbolica (festeggiare San Giuseppe,immagine dei vecchi e dei poveri,con luminarie di gioia)per dar posto a un fatto puramente esteriore e circoscritto a qualche quartiere di periferia.

Al mattino seguente vengono vestiti con gli abiti di San Giuseppe,Gesù e Maria,tre fanciulli che una volta erano scelti tra i più poveri,mentre oggi sono scelti spesso tra gli stessi parenti di coloro che preparano la mensa,non tanto perché non ci siano più poveri,quanto piuttosto perché la festa ha perso gran parte della sua sacralità e sopravvive solo nelle sue forme esteriori.

Infine si fanno vestire i virgineddi che dovrebbero rappresentare gli apostoli;di solito vengono scelti dodici tra ragazzi e ragazze vestiti di lunghe tuniche bianche e colorate.Quando la vestizione è finita tutti vanno a Messa.

Al ritorno,prima di iniziare il banchetto,due vecchietti che si accompagnano con chitarra e violino,recitano la novena che è una drammatizzazione della vita di San Giuseppe in nove parti.Finalmente è possibile entrare nella sala del banchetto dove Gesù,Giuseppe e Maria insieme ai virgineddi vengono serviti e devono assaggiare tre bocconi di tutte le pietanze che sono state preparate.

Il pane,quello che sotto le abili mani di due vecchiette ha assunto le forme più diverse,resterà ancora sistemato sull’altare per poi l’indomani essere ceduto,dietro offerte,a chi ne ha fatto richiesta già da diverso tempo.

Dicevamo prima che esso è disposto su una specie di altare a forma piramidale secondo un criterio consacrato dalla tradizione e che dovrebbe corrispondere a una gerarchia di valori.Cominciando dall’alto in basso troviamo sul ripiano più alto il Sacramento tra due angeli  con candeliere,poi sul secondo Il nome di Maria e ai due lati angeli con incensiere e panieri con fiori;nel terzo ripiano,sempre a centro,la Discesa degli angeli e ed ai lati una palma e un paniere con frutta;nel quarto troviamo la Mano di S.Francesco e di Santa Chiara con a sinistra San Giuseppe e il Bambino Gesù

E’ il secondo pane che simboleggia il Nome di Maria

 

e una pianta di carciofi,mentre a destra abbiamo Il Santo Padre (secondo altri è San Francesco di Paola)ed ancora una pianta di carciofi.

Nel quinto ripiano spicca lo stemma del comune,di solito è un’aquila e ai lati La vigna con canne e uva,la serpe e la lumaca(come in effetti è dato vedere nei veri vigneti)ed accanto un galletto e un paniere con fiori.Infine nell’ultimo ripiano vi sono tre grossi pani a forma di buccellato.

Ai due lati della stanza sono poi esposte le pietanze e tantissimi pani che assumono le più diverse forme di animali e vegetali: un paniere di fiori, una colomba pasquale, panierini, frutta e fiori, un buccellato,una pera, una mela e delle nespole; il pane che si mangia durante la mensa, galletti, lumache, pesci, e il granchio.

Ed ecco invece le pietanze: carciofi ripieni con mollica, melenzane, pomodori secchi ripieni e fritti, fette di carciofi fritte con l’uovo, zucca rossa, peperoni ripieni, zucchine bianche, caponata, broccoli a “pastetta”, olive disossate con aceto e menta, sarde fritte, fave e piselli freschi, finocchio, cetriolo, lattuga, ravanelli, uva nera, pesce, nespole, mandarini,  fico d’india, fragoloni, uva bianca da tavola, pomodoro, cassatelle, buccellati, cannoli con crema, pignoccata, ”sfinci”, mustacciole, ”pupu cu l’ovu” (tipico dolce pasquale), ceci, fave, noccioline americane, semi abbrustoliti, fichi secchi, ”pastigghia” (castagne secche), noci, mandorle, noccioline, datteri.

Un tipico altare per la sistemazione dei pani

 

Certamente si tratta di un “ben di Dio”che costa “un occhio della testa” come ci conferma il padrone, ma non vorremmo di sicuro trovarci al posto di Gesù.

Giuseppe e Maria costretti ad assaggiare  tre bocconi di ognuna di queste pietanze.

C’è da osservare infine che al di là della funzione particolare di questa mensa, il ringraziamento per la grazia ricevuta,la “cena”di San Giuseppe ripropone ancora alcuni temi essenziali in stretta analogia con quelli relativi ai riti solstiziali:l’offerta delle primizie, la ostentazione dei prodotti, l’orgia alimentare.

Come in altri riti,come quello del Capodanno,anche qui il gruppo sociale avverte i rischi connessi con la vita dell’anno agricolo, in un particolare momento di paura e di crisi,quando una gelata potrebbe compromettere il paziente lavoro dell’annata.In queste feste che provengono in origine da quelle agricole della fertilità,il banchetto collettivo rappresenta ancora una concentrazione di energia vitale con tutti gli eccessi che comporta,osserva Antonino Uccello,e convoglia apprensioni e speranze sul destino del raccolto e sulla usufruibilità dei prodotti.

In questo pane viene raffigurata la discesa degli Angeli

 

Quest’altro pane raffigura un paniere con fiori.