SICILIA, LA PRIMA PROVINCIA ROMANA di Tommaso Aiello

Segesta,uno scorcio dell’acropoli.

In teoria la Sicilia dovrebbe essere la più romana delle province romane poiché di queste fu la più antica.Infatti,il 10 marzo del 241 a.C.le truppe puniche furono battute alle isole Egadi da quelle repubblicane condotte da Torquato Attico e da Gaio Lutazio Catulo come console a capo della flotta.Cartagine abbandonò l’isola che ad eccezione di Siracusa divenne romana,pronta sempre alle rivolte e alle successive invasioni temporanee della seconda guerra punica.Successivamente la presa di Siracusa e l’eroica resistenza di Archimede daranno il primo esempio di vero epos cinematografico fra grinta dell’azione e capacità tecnologica dei famosi specchi convessi.

Ma in realtà già dal 237 la Sicilia era stata annessa come provincia,anzi come prima provincia della storia di Roma.Il territorio venne posto sotto il diretto controllo di un magistrato romano,un questore la cui sede ufficiale venne fissata a Lilybaeum(Marsala),importante base navale che sarà utilizzata,fra l’altro,per la spedizione africana di Scipione.La definitiva strutturazione amministrativa della provincia si realizza però soltanto nel 227 a.C.A partire da quell’anno il controllo della parte romana dell’isola viene assunta da un pretore-il primo sarà Gaio Flaminio-dotato di autorità assai più ampia,soprattutto in campo giurisdizionale,del questore,figura quest’ultima che assume ora il ruolo di collaboratore del governatore.La caduta di Siracusa nel 211 a.C porterà all’unificazione della provincia,di cui la città diviene sede amministrativa principale;contestualmente,il numero dei questori di stanza sull’isola viene portato a due,uno dei quali resterà dislocato a Lilybaeum.

Catania,Teatro greco-romano

La struttura amministrativa della provincia di Sicilia è ricavabile essenzialmente dalle notizie contenute nelle Verrine di Cicerone(70 a.C.),ma è assai probabile che essa sia venuta delineandosi già negli anni compresi tra il 241 a.C. e il governatorato di Marco Valerio Levino(210-207 a.C.),che dovette avviare il processo di riorganizzazione dell’isola ora definitivamente riconquistata.A quest’ultima fase risalgono anche gli interventi di razionalizzazione della rete viaria locale,con l’apertura della via Valeria tra Messina e Lilybaeum e della via interna tracciata da Agrigento a Palermo,da attribuire-sulla scorta di un miliario rinvenuto a Zuccarone (nei pressi di Corleone)-al console del 200 a.C. Gaio Aurelio Cotta.La gran parte dei centri della Sicilia rientrava nella categoria delle civitates decumanae,soggette al pagamento annuale di una tassa (decuma)sui prodotti agricoli.

Altri centri,le cosiddette civitates censoriae,erano poi gravate da un ulteriore tributo:i loro territori,confiscati e trasformati in ager publicus populi Romani (terreno pubblico di proprietà dello stato romano),erano lasciati in usufrutto alle singole comunità dietro il pagamento di un canone d’affitto (locatio censoria) appaltato direttamente dai censori di Roma.Le categorie più favorite erano quelle delle civitates foederatae,entrambe esenti dalla tassazione ordinaria.Al di là degli obblighi di natura essenzialmente fiscale,la struttura costituzionale di tutte le comunità siciliane dovette restare sostanzialmente invariata.Gli interessi economici legati all’isola costituirono in ogni caso un potente fattore di attrazione che favorì,fin dall’istituzione della provincia,l’immigrazione romana e italica.Gli immigrati presenti sull’isola fin dalla fine del III secolo a.C.risultano però slegati dalle realtà amministrative locali,inquadrati come sono in organismi(conventus civium Romanorum) del tutto indipendenti dalle città di residenza.

Catania,Teatro greco-romano

Ancora oggi i siciliani sentono il risentimento per essere stata considerata “provincia” durante 637 anni finchè non passò nelle mani del vandalo Genserico che la conquistò nel 440 d.C..Quindi romanissima l’isola per un periodo lungo.Eppure Diodoro Siculo racconta con passione le rivolte del secondo secolo prima di Cristo a significare che gli abitanti facevano fatica a passare dal greco al latino,anzi non vi passarono mai del tutto.Viene quindi legittima la domanda sulla romanità d’una Sicilia che si sente greca,araba,normanna ma soprattutto siciliana in quanto capace di metabolizzare tutto.La domanda ha un senso anche in epoca posteriore quando ci si domanda se essa fu spagnola o se non furono invece gli stessi spagnoli a diventare barocchi per avere frequentato la complessità psico-estetica dell’isola.

Ma una cosa è certa:la Sicilia,fu per cinque secoli prima della romanità ciò che è stata l’America nei cinque ultimi secoli per l’Europa,e cioè il luogo della grande espansione,delle infinite opportunità,dove tutto era più grande e più fortunato,dalla semina del grano alla dimensione dei templi,dalla ricchezza dei commerci al tormento delle menti.Anzi più che di Sicilia è doveroso parlare dell’intera area tirrenica meridionale della penisola italica,quella che si definisce Magna Graecia.

Sicchè la Sicilia dialoga esteticamente con la Calabria,con Pompei,in sostanza con tutto il mondo complicato che dalle aree picene a quelle osco-umbre,fino a quelle dei sanniti vanno assieme agli abitanti della Trinacria a costituire l’amalgama che Roma,passo dopo passo,viene inesorabilmente a dominare.E diventa particolarmente interessante la documentazione relativa alla contaminazione dei linguaggi che viene generata.Roma è parzialmente influenzata dall’ellenismo interregionale del secondo e primo secolo a.C.Ma l’ellenismo non è uno stile unico,è un modo di pensare visivo che si declina con parametri ben diversi nelle diverse zone del Mediterraneo.

Partinico,testa in marmo del II sec.d.C.

Nulla di più falso della famosa asserzione di Orazio Graecia capta ferum victorem cepit et Artes intulit agresti Latio(La Grecia conquistata,conquistò il beluino vincitore e introdusse le arti nell’agreste Lazio),perché l’agreste Lazio la sapeva già lunga ed era stato capace di travolgere le estetiche perfette di Lisippo portandovi tutta la visceralità dell’espressionismo e del realismo romano.

Ebbene questo spirito prebarocco,che sembra la cifra stabile della cultura visiva tirrenica,in Sicilia era più forte che altrove e aveva già da tempo colorito lo spirito dei quirini di una volta.L’uso della pittura parietale napoletana,così”moderno” nella sua materia,colloquia con la materia tirrenica della tomba François e con le strepitose elaborazioni scultoree siciliane.

Abbiamo accennato al problema della lingua e abbiamo detto che i siciliani non abbandonarono mai la loro lingua chiunque fossero i dominatori di turno.”Noi non siamo né Joni,né Dori,ma Siculi”è quanto afferma Ermocrate nel 424 a.C.,sancendo così la costituzione della nazione siciliana.

L’identità nazionale del popolo siciliano è stata favorita dalla necessità della difesa e soprattutto dalla naturale insularità che ha portato a trovare un veicolo ideale nella lingua.La lingua viene considerata a ragione l’elemento di unità di una nazione perché capace di resistere alle influenze di tante altre culture con le quali viene a contatto;capace addirittura di acquisire da ognuna di esse quanto di volta in volta ritiene più utile al suo arricchimento.Quindi si può parlare con Marco Scalabrino di una lingua greco-sicula,latino-sicula,franco-sicula,italo-sicula.Ma sempre e sostanzialmente una e una sola lingua:il siciliano.La lingua siciliana è una lingua stratificata;Apuleio,uno scrittore siciliano del II sec.d.C.,definisce i siciliani trilingue,perché parlavano tre lingue),il Greco,il Punico ed il Latino.Più tardi con l’occupazione araba,un’altra lingua si aggiunse alle altre,e non è la fine della stratificazione,poiché con l’arrivo dei Normanni abbiamo anche il francese che si mescola alla nostra lingua già tanto complicata.

Piazza Armerina,veduta del peristilio.

Con la fine della dinastia Normanna,il Regno di Sicilia passò agli svevi e Federico II cominciò un programma di rivitalizzazione della lingua latina,Per questa ragione la lingua siciliana perse la rimanenza delle forme del latino antico e acquistò quella del latino ecclesiastico che era un latino più giovane,rendendo la lingua siciliana più elegante e piacevole come suono.A quel tempo il greco era ancora usato nell’isola, tanto che quando Federico II pubblicò le “Costituzioni Malfitane” ha dovuto pubblicarle anche in greco.Volete qualche esempio di come i siciliani da sempre trascrivessero le parole latine con l’alfabeto greco?Ecco prendiamo qualche nome di ceramista o di proprietario di una fornace di ceramica:Porta,nome latino,diventa Portas (trascritto in lettere greche)in siciliano;Tiaso,nome latino, diventa Thiasou (trascritto sempre in lettere greche)in siciliano.

Dicevamo prima che Roma è parzialmente influenzata dall’ellenismo interregionale,così Mozia con gli anni diventerà luogo di vacanza anche per Cicerone,il quale vi troverà degli esempi di grecità potente,quelli che oggi rivediamo nei documenti rinvenuti durante l’ultimo mezzo secolo di lavoro Archeologico.La Sicilia,dicevamo,è amministrata romanamente,e produttrice utilissima di ricchezze agricole per la repubblica e l’impero,ma rimane sostanzialmente autonoma nella sua fenomenale capacità di mescolare tutto.E quando l’impero inizia a perdere colpi l’esempio musivo di Piazza Armerina rimane un documento di altissima importanza perché testimonia la capacità d’una comunità posta nel cuore dell’isola di rimanere in dialogo con gli artigiani dell’attuale Libia i quali sicuramente lì hanno lavorato dopo essersi esercitati a Leptis Magna.Oppure l’incontrario. A testimonianza che le isole poste in mezzo al mare non sono necessariamente isolate,anzi possono essere luoghi perenni d’incontro e di mescolanze.

Tommaso Aiello

Vice-Direttore della rivista distrettuale Lions Sicilia