I MULINI AD ACQUA IN SICILIA ANTICIPANO LA RIVOLUZIONE INDUTRIALE di Tommaso Aiello

In Sicilia il territorio della provincia di Palermo,dove sono presenti numerosi sistemi di mulini ad acqua a ruota orizzontale,distribuiti lungo gli alvei dei corsi d’acqua,che di solito hanno un carattere torrentizio,è stato scelto in passato per un’indagine scientifica sotto il profilo storico,tecnologico e antropologico.

Le ricerche archeologiche poi hanno evidenziato l’esistenza di macine per la molitura dei cereali a mano,a trazione animale,a ruota idraulica orizzontale,sistema quest’ultimo noto fin dal I° secolo d.C.,ma ampiamente utilizzato e diffuso dal IX-X sec d.C. in poi,determinando una rivoluzione tecnologica e culturale di notevoli proporzioni e importanza,che è rimasta valida fino alla metà del XX secolo praticamente immutata.

Il mulino di Mirto con accanto la pietra da macina

 

Le ragioni della loro decadenza,sotto il profilo economico,sono state di vario ordine,ma due risultano essere le principali:la nascita dei mulini elettrificati,che permettono di lavorare una maggiore quantità di grano e la mancanza dell’acqua il cui corso è stato deviato per soddisfare le esigenze idriche dei siti abitati.

Nell’antichità per molire i cereali si usava l’energia umana prodotta dal lavoro degli schiavi e delle donne.”…Figliola di Babilonia,non continuerai più a chiamarti Morbida e Delicata.Metti mano alle macine e macina la farina..”(Isaia 47,2),ma ben presto l’ingegno umano trovò il modo di utilizzare l’energia prodotta dall’acqua.

La forza dell’acqua,appunto,imbrigliata in numerosi meccanismi,(le ruote idrauliche sono tra questi),sostituì la forza delle braccia umane per soppiantare il lavoro manuale.

Plinio,nei suoi scritti testimonia,durante il tempo di Augusto(63 a.C.-14 d.C.),la costruzione in Italia di numerosi mulini ad acqua che sfruttavano ruscelli e corsi d’acqua,che si sarebbero poi diffusi in tutto l’Impero.

Ma è in epoca medievale,come scrivono vari autori,a partire dal Bloch,che si svilupparono le condizioni per lo sfruttamento dell’energia idraulica per macinare i cereali.

Osserva Jean Gimpel:”La forza idraulica poteva offrire soltanto un interesse limitato in paesi dove la schiavitù forniva mano d’opera a buon mercato,per cui,una politica di meccanizzazione avrebbe avuto un effetto disastroso sulla mano d’opera libera e servile”Al contrario,in un mutato clima sociale e politico come quello del medioevo,il declino e poi la scomparsa della schiavitù si accompagnano all’impiego su larga scala dell’energia idraulica.

L’impianto di numerosi mulini idraulici in periodo medievale vedrà protagonisti gli ordini monastici,la nobiltà feudale,la classe dei mercanti.Dal punto di vista tecnologico la “follia costruttiva” medievale costituisce,per gli ingegneri del tempo,un’autentica sfida.

La necessità di installare gli impianti nelle più svariate condizioni idrauliche,di migliorare i rendimenti e di meccanizzare nuovi tipi di lavorazioni li spinge ad adottare soluzioni tecniche ardite e originali che,complessivamente considerate,fanno arretrare di parecchi secoli quel processo di sviluppo dell’industria europea solitamente e troppo affrettatmente collocato nel sec.XVIII.

Del resto basti pensare che molti mulini funzionavano ancora nel XVIII secolo,in piena rivoluzione industriale e ammodernati esistevano ancora nel secolo XIX e alcuni sono ancora in piedi ai giorni nostri. Il passaggio dalle macine a pietra al mulino a rulli avvenne con l’invenzione della macchina a vapore,alimentata a carbone,e alla scoperta,soprattutto,dell’elettricità, tanto che oggi la stragrande maggioranza dei mulini è proprio a rulli.

I mulini ad acqua,come dicevamo,erano posti a cascata lungo i corsi d’acqua;qui giungevano i contadini con i muli carichi di grano e dovevano attendere a volte lunghe ore per il loro turno di macina.

Il mugnaio era colui che  presiedeva al rito di trasformazione del prezioso cereale in farina,regolando sia la quantità di grano da molire,sia della giusta pressione da dare alle macine per ottenere,in maniera empirica ma sapiente,la “giusta granulosità della farina che doveva essere né troppo fine,né troppo semulosa”.

L’acqua convogliata attraverso un canale in muratura,detto “saia”,accumulata e scaricata nella “botte di carico”,che poteva raggiungere anche dieci metri di altezza, raggiungeva il locale inferiore dell’apparato detto “Guarraffo” dove veniva indirizzata a forte pressione da una canaletta detta “cannedda” sulle pale della ruota orizzontale a raggiera.

Sotto la spinta dell’acqua,nel locale superiore dove alloggiava il vero e proprio apparato molitorio,attraverso un giuoco di ingranaggi,la macina soprana ruotante(rotore) su quella sottana fissa “statore”,triturava la granaglia che veniva dai sacchi riversata nella tramoggia(trimoia) e convogliata nel foro centrale della mola soprana.

Il grano man mano che veniva molito dalle macine,opportunamente scalpellate con opportuni incavi disposti a spirale favorivano la fuoruscita della farina che veniva raccolta in un apposito accumulatore(cascia).

Canale in muratura detto SAIA.


L’acqua che usciva dalla cavità dove era collocato il “Guarraffo

 

“Cannedda” da dove fuoriesce l’acqua indirizzata sulle palette

Le macine di pietra pur avendo speciali requisiti di durezza,porosità ed omogeneità di struttura,richiedevano continui lavori di scalpellamento, da parte dei “pirriaturi”con apposite martelline,dei solchi che il troppo uso levigava.

Ruote di macina

 

Ma torniamo al territorio della provincia di Palermo, con particolare riferimento alla zona di Partinico, e vediamo cosa scrive il Fazzello,che terminò la sua Storia di Sicilia nel 1554, <Il bosco di Partenico essendo al mio tempo tutto tagliato e svelto,vi si sono piantate assaissime vigne,e vi si è fatto un castelletto chiamato Sala,dove è assai abbondanza d’acqua,e gran copia di cannamele.>Per cui secondo il Lo Grasso,nella sua opera Partenico,pag.102,tutto il territorio ,per oltre un secolo,sotto la reggenza degli Abbati Commendatari progredì veramente nel benessere materiale.

Non è però dello stesso parere lo storico inglese Denis Mack Smith che in “Storia della Sicilia medievale e moderna”dà un giudizio nettamente negativo sul governo degli spagnoli e dà un giudizio negativo anche dei siciliani,sia nobili,che ricchi proprietari e poveri contadini che divennero tutti bugiardi,egoisti e molti si diedero al brigantaggio e alle ruberie.

E questo perché l’esosità delle tasse richieste dagli spagnoli indusse tutti quanti a cercare di salvaguardare in tutti i modi quel molto o poco che possedevano.

Data l’inclemenza del tempo,che alternava piogge torrenziali,(che distruggevano spesso il raccolto),a periodi di siccità fortissima dovuta al soffiare del vento di scirocco che bruciava le terre della Sicilia,i rimedi usati furono peggiori,determinando un cambiamento dell’ecosistema.

Addirittura,osserva sempre lo storico inglese,quando arrivava lo scirocco ,nelle strade di Palermo e sicuramente anche negli altri paesi,nell’aria c’era tanta sabbia da non permettere la visibilità da un lato all’altro delle strade.Si dice che i più danarosi si facevano costruire dei sotterranei antiscirocco,dove la temperatura rimaneva un po’ più mite.(L’attuale clima c’era quindi anche nel XVI e XVII secolo).

La conseguenza di queste avversità atmosferiche portava i baroni e i ricchi proprietari a ricercare sempre nuove terre più fertili da sfruttare,facendo abbattere la ricca vegetazione arborea esistente,con la conseguenza di rendere sempre più aride le terre e contribuire a cambiare radicalmente il clima mite e temperato del Mediterraneo.

Anche Rosario Villari-La formazione del mondo moderno-Laterza,pag.300-parla di profondi squilibri sociali nel mondo spagnolo dovuti al grande problema di una società che tendeva a spezzarsi in due,con tutta la ricchezza da una parte,nelle mani di pochi privilegiati,e dall’altra una sterminata miseria senza speranza,con la conseguenza che i nuclei di borghesia che non riuscivano ad inserirsi tra le file della nobiltà stentavano a sopravvivere in queste condizioni.

Figuriamoci poi la grande massa di contadini,di artigiani e di nullafacenti e nullatenenti.

La grande esosità delle tasse richieste alle province sottomesse,dovuta all’esaurirsi del flusso del fiume di argento americano,spinse questi territori verso una crisi economica, sociale e politica irreversibile.

Nonostante questo sfacelo è comunque probabile,che tra una guerra e l’altra,una pestilenza e l’altra,la Sicilia potè godere di rari momenti di prosperità, soprattutto all’inizio del disboscamento con l’acquisizione all’agricoltura di nuove terre vergini.

Così, anche il territorio della provincia di Palermo,impiantando nuove colture in maniera estensiva quali quella del frumento,si trovò nella condizione di dovere costruire una serie di mulini che dovevano servire non solo alle necessità del paese,ma anche a quelle dei paesi vicini.

Nacquero così diversi mulini azionati dalla forza dell’acqua dei torrenti che ancora abbondavano nel territorio.

 

La “saitta” per portare in alto le acque del torrente.

Visitando questi vecchi mulini,si è potuto notare che presentano la stessa morfologia  e cioè:un muro alto 4-5 metri all’origine che va gradatamente degradando fino ad arrivare alla struttura considerata,che presenta un dislivello da dove scende l’acqua che aziona la ruota posta alla base della struttura.

La ruota idraulica essendo collegata direttamente, tramite un asse,agli ingranaggi della macina fa girare gli stessi.Altri elementi che servivano per la trasformazione del prodotto erano:il lavagrano e il cernitore”.Tutti gli elementi per la trasformazione all’origine erano in legno.Solo più tardi abbiamo qualche innovazione inerente ad alcuni elementi delle strutture per la trasformazione,quali per esempio la sostituzione dell’asse in legno della ruota idraulica con un asse in ferro.

La testimonianza del Di Bartolomeo ci conferma la funzionalità, nell’ottocento, di questi mulini azionati dalle acque dei vari torrentelli del territorio.

Abbiamo detto che la maggior parte dei mulini ad acqua,nel territorio della provincia di Palermo nasce nella prima metà del secolo XVII:abbiamo avuto la possibilità invece di trovare dei ruderi e delle testimonianze scritte che ci riportano indietro nel tempo.

Del mulino di San Cataldo,infatti, abbiamo notizie della sua esistenza già nel 1182,in un diploma,dato a Velletri,dal pontefice Lucio III(1181-1185):”Confirmamus omnes possessiones….Ecclesiam S.Cataldi Partinici cum molendinis”.(vedi Rocco Pirro, opera citata,pag 495).

 

I resti del mulino di San Cataldo

Questi possedimenti furono confermati al monastero di San Giorgio di Gratteri.

Di ben altra dimensione sono i ruderi del mulino Sardo. Vederlo dall’alto della stradella,ci fa comprendere quanto importante e imponente fosse questo mulino.

Diciamo subito che sorge nel Piano Sardo e vi si arriva dalla circonvallazione ,che congiunge la S.S.113 alla 186,per mezzo di una stradella che fiancheggia Monte Cesarò. Nella carta dell’IGM porta il nome di Mulino Mirto-Sardo ed è alimentato da un torrentello che porta il nome di Rio Sardo e proviene,probabilmente,dalle sorgenti di Mirto.Attuale proprietaria è la famiglia Filingeri di Palermo.

Il mulino Mirto-Sardo

Ruota dentata orizzontale,dal mulino Mirto-Sardo

 

Anche questo mulino è composto da diversi ambienti ormai tutti sventrati,ma che lasciano intravedere chiaramente la possanza di questo fabbricato.Tali ambienti sicuramente servivano per immagazzinarvi il grano e la farina.

Ci permettiamo di proporre il riuso di alcune di tali strutture produttive preindustriali con la creazione di itinerari culturali che ripercorrano le “trazzere” o strade su un carretto siciliano e che comprenda anche torri,  bagli o masserie.

Non sono cose impossibili da realizzare,bisogna che ci sia una sinergia di forze quali quelle del Comune,della Provincia e della Regione e soprattutto degli imprenditori che vogliono far davvero agriturismo.